L´autunno, si sa, è una stagione piovosa e i giorni in cui può piovere quasi senza sosta possono essere anche molti. Sei giorni di rovesci temporaleschi furono difatti la concausa dell’inondazione, avvenuta la sera del 14 novembre 1951, nella regione del Polesine.
Il fiume Po, immagazzinando una quantità di acqua enormemente superiore alla sua portata, straripò in più punti tra cui Paviole di Canaro, Bosco e Malcantone nel comune di Occhiobello. In quest’ultima ci fu la rottura più grave, i metri cubi d’acqua e fango che si riversarono sulla regione fu smisurata, nonostante il duro lavoro svolto dalle persone già a partire dai giorni precedenti al 14 di novembre per cercare di contenere il fiume e la sua forza.
Dopo giorni di durissimo lavoro per riparare ed alzare gli argini (in alcuni punti anche di oltre un metro)
nelle zone più fragili, molti di essi cedettero e la maggior parte dei soccorritori smise di lavorare e cercò invece di mettersi in salvo, anche perché giravano false voci sulla rottura di altri argini precedentemente sistemati, gettando così a terra lo spirito e le speranze di quegli uomini che da giorni cercavano di fare il possibile per evitare un disastro ormai irrimediabile. Il buio, la nebbia ed il freddo, neanche loro aiutarono.
Quella notte, la massa d’acqua e fango che si abbatté su tutta la zona fu di circa 8 miliardi di metri cubi che, in poche ore, allagarono centomila ettari di terreno. Ancora indelebile è il ricordo di un camion, un vecchio Alfa Romeo, partito da Rovigo per cercare di salvare più persone possibili, che arrivò a caricare una novantina di persone, uomini, donne e bambini saliti a bordo da zone diverse della regione in cerca di rifugio e di una via di fuga più veloce dall’esondazione, ma, arrivato a Frassinelle fu sorpreso da un’ondata di acqua e fango che si abbatté su di esso. L’intero camion fu sommerso e in 84 persero la vita. I soccorsi non poterono fare nulla per salvarli. Rimasero lì, fino al mattino successivo. In pochi vi sopravvissero. Nel sacrario di San Lorenzo, vi è un piccolo cimitero dedicato alle 84 vittime del così tristemente soprannominato “camion della morte”.
I defunti accertati furono 91, di cui 84 solo nel camion, gli sfollati furono circa 200.000 ed in molti decisero di non tornare più in quella terra così terribilmente colpita (venne inondato più della metà del Polesine) e divennero una parte importante della nascente realtà industriale italiana.
Ad oggi non si ricorda solo la forza devastante dell’acqua ma, soprattutto, la forza, l’unione e gli aiuti (come denaro, cibo, vestiti, coperte ecc.) che le persone da tutta Italia ma anche dagli Stati Uniti inviarono per aiutare gli sfollati ed i norvegesi che finanziarono la costruzione di un villaggio per i profughi a Rosolina. Inoltre, a ricordo della tragedia, a Palazzo Roncale a Rovigo è in corso la mostra fotografica “70 anni dopo. La Grande Alluvione”, curata da Francesco Jori con Alessia Vedova e Sergio Campagnolo, e rimarrà aperta fino al 31 gennaio.
Francesca Stagliano
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