Martedí scorso é stata pubblicata l’intervista a Roberto Riva, autore de “La scoperta dell’acqua calda”. Ecco di seguito due estratti dal libro:
Estratto numero 1
Mattina dopo mattina mi alzo dal letto per andare a lavorare. Cinque giorni di lavoro intenso, due giorni di lavoro meno intenso. Sì, perché non si stacca mai qui sull’isola, non si riposa mai la mente, si deve sempre pensare al lavoro. Anche in questo Matrioska ricalca il mondo della ricerca. Secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, ora dopo ora, entro nel ristorante, il campanellino d’ingresso suona, ma nessuno viene a darmi il benvenuto. Minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, incontro il signore baffuto che non mi saluta, ma che mi fa cenno di andare nello sgabuzzino. Ora dopo ora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mi siedo sullo sgabello nello sgabuzzino e pelo le mie patate. Ogni volta ci sono tre sacchi da venti chili di patate che mi aspettano: sessanta chili in totale.
Intanto la vita sull’isola continua imperterrita sotto il sole cocente: le teorie e le spiegazioni di Einstein, le camminate e i piccoli quesiti sul mondo di Pascal, le chiacchiere logorroiche di Copernico e le battute al fulmicotone di Kelvin. Tutto nella norma. Tutto sotto controllo. Ovviamente sotto il controllo dell’SSGCSIPSM e del direttore generale di Matrioska. Quasi tutto sotto controllo a dire il vero: nella calma della vita di tutti i giorni, al riparo dagli occhi indagatori delle guardie e dalla luce del sole, il piano di Einstein continua a crescere, lentamente ma senza sosta. Ne colgo frammenti e mozziconi che riesco a strappare dai discorsi degli altri. Sembra che non basterà lo sforzo di noi abitati di Montepulcioso, ma servirà un aiuto esterno. Sembra che dovremo andare a Puerto Sventura a recuperare qualcuno, ma non si sa chi. Forse dovremo corrompere delle guardie o forse ucciderne qualcuna. I dati in mio possesso non sono chiari e a volte contrastanti. Ancora una volta Matrioska mi ricorda il mondo scientifico.
La cosa più importante è che le guardie continuino a pensare che Montepulcioso sia come un orologio ben regolato. E ogni buon orologio che si rispetti segna le tredici in punto anche di domenica pomeriggio. Puntuale parte la musichetta della Mondovisione su Recovery Channel. Un nuovo discorso del Leader Aristotele è in arrivo. Tutto il villaggio si ferma a guardare col fiato sospeso. Siamo al discorso numero ottantasei. Quel vecchietto dai capelli, barba e baffi bianchi ci guarda da dietro lo schermo e parte col suo solito incipit:
— Buon pomeriggio, Matrioska. Buon pomeriggio, abitanti dell’isola. Buon pomeriggio, concittadini. Anche oggi vi parlo dalla prigione del Pentàcubo… — Poi finisce il suo prologo e va al succo del discorso, tra lo sguardo rapito di Einstein e scettico da parte mia — La scienza è fatta per liberarci dalle catene dell’ignoranza e noi dobbiamo perseguire le nostre idee, continuando metodicamente il nostro lavoro di ricercatori… anche se ci viene impedito. — Poi conclude — Questo è il mio comunicato odierno. Questo è il mio messaggio per voi dalla prigione del Pentàcubo, dove sono ingiustamente rinchiuso. Buona settimana, concittadini. Buona settimana, abitanti dell’isola. Buona settimana, Matrioska.
Tutti interpretano questo come un messaggio di speranza e d’incoraggiamento ad andare avanti, ma io continuo a non vederci niente di tutto ciò.
Estratto numero 2
Seduto alla scrivania, scrive come un matto. Non smette da più di un paio d’ore. Scrive, cancella, riscrive. Si alza, passeggia avanti e indietro, poi si risiede e ricomincia a scarabocchiare schemi, diagrammi, liste di cose da fare, mappe, divisioni di compiti. È concentratissimo e non smette neanche per un secondo. Parla tra sé e sé ragionando su qualcosa, scribacchia, ci ripensa, accartoccia o straccia fogli, ne prende di nuovi e li compila da capo. I fogli pieni di righe si accumulano uno dopo l’altro. La pila di fogli bianchi si riduce sempre di più. Continua a stendere pagine su pagine e non si ferma mai: neanche quando mi avvicino per sbirciare e neanche per mangiare. Ogni tanto gli porto un panino, un bicchiere d’acqua, una caramella. Ogni tanto lo sfama Pascal. Con una mano tiene salda la penna, con l’altra prende il panino e lo trangugia senza staccare gli occhi dal tavolo. È una macchina. Sono passate ormai nove o dieci ore da quando ha iniziato. Io e Pascal lo guardiamo con ammirazione, ma anche con un po’ di preoccupazione: noi siamo stanchissimi, figuriamoci lui. Einstein però non dà segni di cedimento e continua irremovibile. Scrive, legge, corregge, riscrive, rilegge… ma a un certo punto si ferma, fa un segno a fondo pagina, alza il foglio, lo appoggia sulla pila già compilata, fa un profondo sospiro, si siede a piombo sulla sedia ed esclama soddisfatto:
— Eureka!