Roma, 22 apr. (askanews) – Un grande Papa e il primo Pontefice gesuita, quindi con uno sguardo particolarmente acuto anche verso l’Asia dove l’ordine fondato da Ignazio da Loyola ha avuto uno storico radicamento. Tutto ciò, però, non è bastato a Bergoglio per riuscire a produrre una svolta nei rapporti tra la Santa Sede e Pechino.
“La Cina esprime il suo cordoglio per la morte di Papa Francesco. Negli ultimi anni, Cina e Santa Sede hanno mantenuto contatti costruttivi e avviato scambi proficui”, ha detto oggi il portavoce del ministero degli Esteri cinese Guo Jiakun nella quotidiana conferenza stampa a Pechino. “La Cina – ha aggiunto – è disposta a collaborare con la Santa Sede per promuovere il continuo miglioramento delle relazioni sino-vaticane”.
Quando morì Benedetto XVI il 31 dicembre 2022, Pechino espresse il proprio cordoglio solo sei giorni dopo, il 6 gennaio successivo, tramite una nota del ministero degli Esteri.
La copertura mediatica, dopo la notizia del decesso di Bergoglio, nella Repubblica popolare, è stata in realtà piuttosto scarna: articoli nella versione in inglese dell’agenzia di stampa Xinhua, nella testata (sempre in inglese) ufficiale Global Times, un articolo sul portale in cinese The Paper. La notizia secca, non particolari commenti.
Francesco ci ha provato a intrattenere rapporti con la Cina, cercando una riconciliazione. Ha tentato di raccogliere l’eredità di Francesco Saverio, Matteo Ricci, Alessandro Valignano, i grandi gesuiti che nel XVI secolo tentarono di esportare nell’Asia orientale il messaggio cristiano.
Gli ostacoli si sono tuttavia dimostrati difficili da sormontare. La Santa Sede mantiene relazioni diplomatiche con Taiwan, non con la Cina continentale. Dopo che nel 1951 il Vaticano riconobbe il governo di Taiwan, Pechino – che sostiene il principio dell'”Unica Cina” e non riconosce Taiwan come Stato indipendente – ruppe le relazioni ufficiali e non ha mai più instaurato un canale diplomatico formale con la Chiesa cattolica.
La Repubblica popolare cinese, sebbene dichiari di garantire la libertà di culto, è uno stato fondamentalmente ateo e vieta ai membri del Partito comunista di professare qualsiasi religione. Ciononostante, in Cina si stima vi siano circa 12 milioni di cattolici. Non un gran numero, in un paese di 1,4 miliardi di abitanti, ma comunque una presenza rilevabile.
Un nodo particolarmente spinoso è il diritto di nominare i vescovi: Pechino, rifiutando di riconoscere l’autorità pontificia in materia, nomina vescovi autonomamente, provocando da decenni un conflitto con il Vaticano. Conflitti sono nati anche sulle politiche di repressione sistematica delle minoranze e delle religioni in regioni come lo Xinjiang e il Tibet.
In questo contesto, l’elezione di Francesco nel marzo 2013 fece nascere speranze di disgelo. Nel marzo 2014 il Papa rese noto di aver scambiato lettere con il presidente cinese Xi Jinping, citando quel momento come la prima menzione pubblica della questione cinese.
Nell’agosto dello stesso anno, durante la sua visita in Corea del Sud, Papa Francesco sorvolò per la prima volta lo spazio aereo cinese. Nel 1989 Giovanni Paolo II, in visita a Seoul, aveva dovuto aggirare la Cina passando per l’Unione sovietica perché Pechino aveva negato il sorvolo. Passando sopra la Cina, Francesco inviò, seguendo il protocollo, il suo saluto “al presidente Xi Jinping e al popolo cinese”, pregando per “pace e felicità in Cina”. Il ministero degli Esteri cinese rispose affermando di essere “impegnato a migliorare le relazioni con il Vaticano”.
Il Papa ha più volte espresso il desiderio di recarsi in visita in Cina: sul volo di ritorno dalla Corea del Sud disse che ci sarebbe andato “anche domani”. Al ritorno da un viaggio nelle Filippine nel gennaio 2015 ribadì di “essere pronto a visitare la Cina in qualsiasi momento”. Più di recente, lo scorso settembre, dopo un tour in Asia e Oceania, definì la Cina “una grande nazione e una promessa e una speranza per la Chiesa cattolica”.
Gli sforzi di Francesco hanno portato, nel settembre 2018, a un accordo ad interim biennale tra Santa Sede e Cina sul tema delle nomine episcopali, poi prorogato nel 2020, nel 2022 e infine per altri quattro anni a ottobre dello scorso anno. Il testo non è mai stato reso pubblico, ma si sa che la Cina riconosce il Papa come capo della Chiesa universale, mentre la Santa Sede approva i vescovi nominati da Pechino.
Critici interni ed esterni alla Chiesa hanno accusato la Santa Sede di essersi piegata al Partito comunista, lamentando la rinuncia a posizioni di principio. Tra i critici anche il cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong. Un dialogo imperfetto, tuttavia, è sempre meglio di nessun dialogo: questa la linea espressa da Bergoglio.
Risolta in parte la controversia sulle nomine, è cresciuta l’attenzione sulla possibilità di stringere relazioni diplomatiche formali tra Cina e Vaticano, ma a oggi lo scambio di ambasciatori non si è concretizzato. Il viaggio in Cina, lungamente auspicato da Francesco, non è mai avvenuto. Mai c’è stato l’auspicato incontro con Xi Jinping di persona, nonostante ripetute occasioni, come la partecipazione di Xi e del Papa a eventi internazionali nel 2015 e nel 2022, e la visita di Stato di Xi in Italia nel 2019.
Il principale tema del contendere, per Pechino, è il riconoscimento vaticano di Taiwan.
Il presidente taiwanese Lai Ching-te, non a caso, è stato rapido a esprimere cordoglio via X e inviato un messaggio ufficiale al Vaticano, Inoltre, Taipei si è già attivata per inviare “inviati speciali di alto livello” alle esequie papali, e ha proclamato due giorni di lutto nazionale esponendo le bandiere a mezz’asta.
Nel 2013, alla cerimonia d’inaugurazione di Bergoglio partecipò l’allora presidente di Taiwan Ma Ying-jeou, suscitando proteste formali di Pechino che chiese al Vaticano di recidere i rapporti con Taiwan. Analoghe tensioni si erano registrate nel 2005 ai funerali di Giovanni Paolo II: Pechino protestò per la partecipazione dell’allora presidente taiwanese Chen Shui-bian non solo con la Santa Sede, ma anche con l’Italia per aver concesso i visti. Anche per la morte di Benedetto XVI, la delegazione taiwanese guidata dall’ex vicepresidente Annette Lu poté partecipare alle esequie, con dure reazioni di Pechino.