Il LAVORATORE ha rivolto domande ad alcuni pensionati italiani della zona di Stoccolma per capire come hanno vissuto questo 2020, l’anno del COVID.
Giorgio Potenziani, 1936 Mi chiedi se è cambiata la mia vita quest’anno? Certo, è cambiata molto. Mi sento così isolato, mi manca molto la compagnia. E poi, questo fatto di non essere più libero di decidere, di scegliere, di fare progetti. Ho seguito molto la televisione per ricevere informazioni e tante me le ha date anche la SAI. Per fortuna, ho familiari che mi hanno dato molto aiuto, e qualche volta anche l’associazione. Ora c’è una ripresa del contagio, qui a Stoccolma, e mi preoccupa molto che non si trovi un vaccino. La mia grande speranza è che si trovi un vaccino.
Rocco Franzè, 1940 Quello di cui sento più la mancanza è di non poter andare in Italia, chissà per quanto tempo. E`stato un brutto periodo, che dura ancora. Per me il momento peggiore è stato quando sono stato dichiarato positivo. Sono stati tre brutti giorni e poi c’è stata la quarantena. Solo allora ho chiesto e ricevuto aiuto per andare a comprare medicine in farmacia. Guardo sempre le notizie in televisione e tutte le informazioni sulla pandemia le ho ascoltate lí. Qualche effetto positivo comunque la pandemia l’ha avuto: direi che c´è più rispetto per il prossimo, cercare di mantenere le distanze, cose così. Però mi sento piuttosto tranquillo, non sento timore.
Arcangelo Strada, 1944 La vita è cambiata, certo, ma per fortuna mantengo contatti con la mia associazione. Sento però di aver perso la mia libertà e questo mi pesa molto. Ho molta paura di uscire di casa, di entrare in contatto con la gente. I momenti più difficili per me sono stati all’inizio della pandemia, cambiare completamente le mie abitudini: andavo sempre alla SAI, mi incontravo lí con amici. Ho sempre avuto tutte le informazioni di cui avevo bisogno tramite l’associazione o i miei familiari. E`stata la famiglia ad aiutarmi ogni volta che ne avevo bisogno. La mia grande speranza è che trovino un vaccino, sono in tanti i ricercatori a cercarlo. E`una brutta pandemia e non mi pare che abbia comportato niente di positivo. Vivo continuamente nel timore di essere infettato dal virus. Non mi pare che le autorità o le associazioni avrebbero potuto fare più di quello che hanno fatto per aiutarci. Qui in Svezia, mi pare, la pandemia ha messo in luce molti brutti aspetti di questa società.
Veneziano, 1931 Per me quest’anno è stato marcato dalla malattia, mia e di mia moglie, e non era il virus. Credo che sia stata un’esperienza che mi ha spinto a rivalutare tante cose, che magari prima non mi parevano importanti. E`stato un periodo molto difficile. Seguivo quello che succedeva sui giornali e alla TV. Ho sentito molta solidarietà, anche dai vicini e poi dall’associazione. Il mio più grande desiderio sarebbe guarire e avere sufficienti forze per assistere mia moglie. Invece vivo nel timore del contagio. Mi pare che le autorità italiane dovrebbero trovare un modo di fare di più per aiutare chi ha bisogno. Comunque, ora, dalla FAIS ricevo aiuto per fare la spesa già che non oso uscire di casa.
Codigorese, 1945 Quello che mi è mancato di più, e quello che più mi manca in questo momento, è di non poter viaggiare a trovare le nostre famiglie, io in Italia e mia moglie in Finlandia. Non si tratta di vacanze, ma siamo preoccupati per la situazione che vivono i nostri congiunti e l’impossibilità di aiutarli. Ho un fratello a Sirmione e so che è completamente isolato, neanche a più di 200 metri da casa può andare. Poi ci sono anche cose pratiche, abbiamo una casa lí, non sappiamo in che stato sta, se sono necessarie riparazioni. In realtà, a mia moglie e a me, personalmente, il virus non ci ha colpiti molto. Stiamo in buona salute e abbiamo una casetta in campagna dove cerchiamo di passare il maggior tempo possibile: usciamo a passeggiare nel bosco, raccogliamo funghi. Il fatto che siamo in due e in buona salute mi pare essenziale. Evitiamo assembramenti e riunioni familiari allargate ma io non esito, con le solite misure di prudenza, a fare la spesa, servirmi dei mezzi pubblici. Usavamo viaggiare spesso in Italia e mi fa un po`rabbia che per due di questi viaggi che avevamo già pagato, uno addirittura con tutta la famiglia al gran completo, le compagnie aeree non abbiano voluto restituire i soldi ma ci hanno dato dei bonus che non sappiamo se ci pagheranno mai, anche perché una delle compagnie rischia ora il fallimento. O che esigano che paghiamo spese amministrative, se li restituiamo. Dato che siamo in due e in buona salute, non abbiamo avuto bisogno di aiuto esterno. Anzi, siamo contenti di poter aiutare noi qualche volta, per esempio badando ai nipotini quando i loro genitori vanno a giocare a tennis o al cinema. Non posso dire di avere paura, di ammalarmi o altro. Perlomeno non ho timore per me o mia moglie ma sono preoccupato per mia figlia che deve andare a lavorare ogni giorno in un laboratorio di analisi. Per fortuna il suo datore di lavoro ha mostrato comprensione, già che non può lavorare da casa, e le paga il viaggio in macchina e il parcheggio. Sono certo che ci siano anziani italiani isolati ma io non ne conosco personalmente. Non so se le associazioni lo fanno, telefonare ai soci e chiedere se hanno bisogno di aiuto e poi cercare dei volontari. Ma noi vecchi italiani di altri tempi, credo che abbiamo difficoltà a chiedere aiuto, anche se ne abbiamo bisogno, per non disturbare, perché ognuno deve cavarsela da sé, o magari anche perché si ha paura che venga qualcuno sconosciuto in casa. O che veda che c’è un gran disordine, che non abbiamo la forza di fare le faccende. Abbiamo tanto tempo libero, mia moglie ed io, e possiamo ascoltare tutto il giorno le informazioni che vengono sia dalla radio e televisione svedese che da quella italiana. Direi che ne abbiamo ricevute anche troppe, di informazioni. A un certo punto bisogna tagliare e trovare qualche modo di continuare una vita quasi normale. Mi preoccupano in questo momento le mutazioni del virus, questa storia dei visoni. Ci sarà il rischio che si trametta ad altri animali? O addirittura a esseri umani?
Tino Gritti, 1948 E`stata un’esperienza molto particolare, questa pandemia del 2020. Il più grande cambio nella nostra vita è di non poter fare lunghi soggiorni in Italia, come avevamo sempre fatto. Ci siamo andati anche quest’anno in luglio, in macchina, e l’idea era di fermarci da mio fratello che ha un podere e restarci fino alla raccolta delle ulive come facevamo ogni anno. Abbiamo anche un oliveto in Liguria, vicino a S. Remo, una zona poco colpita dalla pandemia. Invece siamo andati via prima, a fine ottobre, perché la situazione in Italia si era aggravata e rischiavamo di non poter tornare. Certo, la nostra vita è cambiata, siamo più chiusi, incontriamo poca gente. Ma è una bella differenza quando si è in due. E sani. E considero che abbiamo avuto fortuna di vivere quest’esperienza in Svezia, dove il lockdown è stato meno estremo ed era possibile muoversi e viaggiare. Siamo stati sempre attenti, sí, ma eravamo sani. Direi che, ma solo sul piano individuale, quest’esperienza ha contenuto anche aspetti positivi: capire che non tutto ci è dovuto, che la vita è più fragile di quello che pensiamo, che è importante la solidarietà, con i vicini, con i parenti. Io ho un carattere ottimista e punto sul futuro. Non ho particolare paura di ammalarmi, passeggio, gioco a tennis ma caffè, ristoranti, cinema quello no, lo evito. Dato che siamo in due e in buona salute, non abbiamo avuto per fortuna bisogno di aiuto. E tutta l’informazione di cui avevamo bisogno l’abbiamo ricevuta dalla radio e dalla TV.
Anna Maria Luporini, 1938 Sí, è stato un periodo difficile. Io sono molto socievole, allegra, mi piace la compagnia. Andavo due volte alla settimana ad un centro diurno in una casa per anziani delle vicinanze. Si parlava, si mangiava insieme, e soprattutto si ballava. Mi ê sempre piaciuto il ballo e sono sempre andata a feste da ballo, per esempio quelle organizzate dal circolo italiano, ma anche altre. Nel Centro ho conosciuto un signore di 88 anni che vive nella residenza ed è venuta fuori una bella amicizia: andavamo a passeggio, a cenare fuori, e questo mi manca molto. Comunichiamo per Skype ora, è una persona cosí gentile e affettuosa, è un grande aiuto per me. Ho ripreso a tornare qualche volta al Centro, quando lo hanno consentito: ballare non si può ma rispettando le distanze si può mangiare insieme e conversare. L’isolamento, per me che amo la compagnia, star con la gente, mi pesa un po´. Anche i figli, che vivono a Stoccolma, non vogliono venire a casa mia per proteggermi e comunichiamo con Skype. Mia figlia, però, viene ogni tanto, verrà stasera, per aiutarmi con le carte per un problema che ho con una banca in Italia. Non serve a niente lamentarsi, comunque, non è nel mio carattere, e cerco di trovare soluzioni ai problemi. Esco a fare passeggiate, da sola perché le amiche non osano, comunico con tutti con Skype o Whats App. La spesa, o l’acquisto delle medicine, lo faccio per Internet o mi aiuta mia figlia o qualche vicino. Tutte le informazioni le ricevo dai figli, dalla televisione, guardo sia quella svedese che quella italiana. Certo ci è venuta addosso una grande solitudine e penso che per la prima volta starò sola per Natale, non oso riunire la famiglia a casa mia come usavamo fare. Non posso dire di aver paura di ammalarmi: mantenendo le distanze, lavandomi spesso le mani, e mettendomi anche la mascherina quando vado nei negozi, dovrebbe andar bene. E sarà come Dio vorrà. Mi conforta la fede e seguo la Messa in televisione tutte le domeniche. Quello che mi manca di più è di non poter andare in Italia. Ho fratelli e sorelle lí, in particolare a Pisa una sorella gemella a cui sono legatissima. L’ho vista l’ultima volta nel settembre del 2019. Certo, comunichiamo per telefono, via Skype, ma so che è molto sola, non è in ottima salute, la situazione lí è molto difficile, e vorrei tanto stare con lei, darle forza. Ma quando non c´è rimedio, è inutile stare lí a rimuginare e tormentarsi. E io mi arrangio.
Christina Baccarini , 1955, anche per Ernesto, 1942 L’aspetto peggiore per noi di questa pandemia è la vita in isolamento, non poter incontrare nessuno, non poter andare da nessuna parte. Ernesto poi, che ha una salute delicata, credo sia uscito di casa tre volte in questi mesi. Lo scoppio della pandemia mi ha sorpreso mentre ero in vacanza a Capo Verde ma è stato tutto molto ben organizzato e sono potuta tornare senza intralci. Io cerco di non prendermela troppo e di fare buon viso a cattivo gioco: esco, faccio la spesa, lavoro a distanza. Certo, mi preoccupa e mi irrita che tanta gente non sembri capire la gravità della situazione e sbotto quando qualcuno che ha fretta mi spinge al supermercato per servirsi prima. Non vedo proprio che cosa si possa trovare di positivo in questa esperienza: forse, che si fanno un po`meno compere? Per fortuna abbiamo i figli che ci vengono a trovare spesso, con tutte le dovute misure di prudenza, e il Natale lo passeremo con loro. Il momento peggiore per me è stato quando si è contagiata nostra figlia ma ora per fortuna è del tutto rimessa. Seguiamo le notizie sia dalla Svezia che dall’Italia. Non ho paura di ammalarmi, sono convinta che mantenendo la distanza e lavandomi le mani me la cavo. Non ripongo molte speranze nell’arrivo del vaccino: temo che lo mettano sul mercato troppo presto, che non sia stato provato a sufficienza, e che poi vengano fuori, come è successo prima, una quantità di danni collaterali. Se si possono leggere alcune tendenze in un gruppo cosí piccolo, direi che si può notare una grande capacità di resilienza, di servirsi degli strumenti digitali a disposizione per facilitare la vita, poca tendenza al vittimismo e all’autocompassione, forse perché per questa generazione che ha vissuto la guerra o il dopoguerra, le crisi non sono nuove, non ultima la dura crisi dell’emigrazione. Manca la compagnia, certo, e chi è in coppia sottolinea quanto questo renda più sopportabile l’isolamento. E in tutti, ovviamente, una ferita aperta: non poter andare in Italia, non per bere un aperitivo con l’ombrellino sulla spiaggia ma per poter visitare, aiutare i parenti che stanno lí: la grande ferita di ogni emigrazione.
Antonella Dolci
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