In questa estate torrida che sto vivendo nel mio soggiorno in Italia, due argomenti primeggiano sulla stampa: la legge sulla cittadinanza, con l’alternativa jus soli/jus sanguinis, e il Green Pass.
I grandi successi di atleti italiani nelle recenti Olimpiadi hanno portato acqua nuova al dibattito: per quanto alcuni nomi suonassero esotici, per quanto il colore della pelle di alcuni non fosse quello della maggioranza, i successi di questi giovani sono stati presentati senza eccezione come successi di atleti italiani, e si è quasi senza eccezione omesso di nominare il paese di origine dei genitori. Giusto, certo, giustissimo. Ma allora perchè, se un borseggiatore strappa la borsa ad una vecchia signora, si dice immediatamente che è tunisino o bengalese, quando questo dato non ha nessun rilievo per la descrizione del reato?
Parrebbe insomma che in questi giorni tutta l’Italia ha scoperto, non se ne era accorta, di essere un paese di immigrazione (oltre naturalmente che di essere tornata ad essere un paese di emigrazione).
E qui viene il tema del jus soli e del jus sanguinis:la maggioranza dei cittadini italiani lo sono perché nati da cittadini italiani, in Italia o all’estero. Un tempo poi diventavano cittadine italiane anche le donne che sposavano cittadini italiani.
La legge del 1992 sulla cittadinanza, tenendo conto delle vaste comunità di emigrati italiani in tutto il mondo, estese la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana anche ai nipoti e pronipoti di cittadini italiani, alla sola condizione che potessero dimostrare che in nessun anello della catena ci fosse stata la rinuncia alla cittadinanza italiana. Nei paesi dell’America latina, dove vige il jus soli, questo ha aperto la possibilità a migliaia di discendenti di cittadini italiani di chiedere la cittadinanza del nostro paese. Su questa legge ci sono opinioni divergenti: giustissimo, dicono, dare questa possibilità, questo riconoscimento, a membri di comunità italiane che hanno sempre cercato di tener viva la cultura e la lingua italiana nel luogo di residenza. Altri trovano che un giovane con una bisnonna italiana che è vissuto tutta la vita in Venezuela, non ha mai frequentato una scuola italiana e forse non sa nemmeno chi sia il presidente del Consiglio, non dovrebbe poter esercitare attraverso il voto, conseguenza immediata della cittadinanza, alcun influsso sulle scelte politiche ed economiche dell’Italia.
Comunque sia, la generosità di questa legge è in flagrante contrasto con le norme che regolano l’acquisto della cittadinanza italiana da parte degli immigrati in Italia: per i cittadini non comunitari sono richiesti dieci anni di residenza legale in Italia, e tre anni di contributi versati. Poco importa che siano nati in Italia, debbono comunque aspettare i 18 anni per presentare la domanda di cittadinanza italiana.
Insomma ragazze e ragazzi che qui sono vissuti fin da piccoli, hanno frequentato la scuola, hanno giocato per strada, hanno fatto il tifo per la squadra del paese dove vivono, praticano le nostre abitudini ed amano la nostra cucina non sono considerati italiani a tutto diritto.
Davanti ai successi dei nostri atleti nelle Olimpiadi., sono perfino emerse proposte barocche come quella di offrire agli atleti e ai giovani che praticano sport una corsia preferenziale per ottenere la cittadinanza!
Come se la cittadinanza fosse un regalo o una medaglia.
C-è anche chi parla di introdurre un concetto nuovo, lo jus culturae, che permetterebbe di attribuire la cittadinanza a chi dimostra in qualche modo di conoscere e di fare parte della cultura italiana:
pare una proposta piuttosto arbitraria, che richiede la definizione di cultura italiana come un qualcosa di stabile e permanente mentre la nostra cultura, è il risultato di secoli di influenze (ed invasioni) diverse: fenici, cartaginesi, greci, normanni, mori, spagnoli, austriaci e ora centinaia di migliaia di immigrati venuti in Italia da diversi continenti.
No, la cittadinanza è un diritto e i criteri da soddisfare per ottenerla devono essere equi, chiari ed uguali per tutti. E l’apertura allo jus soli potrebbe costituire un primo passo verso una visione più inclusiva dell’italianità, non basata su tratti esteriori ma sull’interesse, la partecipazione e l’amore per il nostro Paese.
Antonella Dolci
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