Imprescindibile. Impareggiabile. Inimitabile. Inevitabile.
Non sto parlando del re, del senso civico svedese e neanche del welfare. No, qui si tessono le lodi di un elemento imprescindibile, un’istituzione appunto, non solo della cucina ma anche della società svedese. Polpette IKEA? Scansatevi. Kanelbulle, chi? Pancakes? Ma neanche per idea. Sto parlando di lui, l’idolo delle folle, il re della tavola, il dominatore del gusto… il mitico korv. Non mi riferisco al falukorv (quella specie di salvagente rosso tipico della cucina svedese) ma al comunissimo e universale korv che si trova nel baracchino sotto casa. Sì perché sotto ogni casa in Svezia, o quantomeno a Stoccolma e nelle grandi città, si può facilmente trovare l’immancabile chiosco che vende korv, che più sono luridi e unti e più sono buoni. In questi casi, infatti, vengono amichevolmente soprannominati korvazzi, soprattutto se ingurgitati alle tre di notte mentre si aspetta il bus notturno dopo una serata di bevute con gli amici.
Il korv non è una salsiccia e non è un wurstel o un hot-dog. Cioè sì, può essere entrambe le cose, ma in realtà è molto più di questo. È un punto fermo della società. È un’ancora di stabilità economica e identitaria. È una coperta di Linus per gli abitanti di questo paese.
Il korv lo trovi principalmente in due formati che portano a dubbi amletici davanti al menù del suddetto chioschetto stradale: grillad oppure kokt (attenzione amici anglofoni, non è una parolaccia). Può essere tradizionalmente di carne o vegano per rispettare ogni ideologia. Può avere chiare influenze teuto-italo-ispaniche oppure essere nostrano. Qui non si fa nessuna differenza, non c’è niente di strano in questo.
Il korv è come il prezzemolo. Sta bene dappertutto. A colazione (eh lo so, anche gli svedesi hanno difetti), a pranzo, a cena e come spuntino, sia prima che dopo la mezzanotte. Lo trovi alle feste dei bambini, alle riunioni condominiali, agli eventi sportivi, al festival del korv a Stoccolma e Göteborg (rispettivamente in giugno e novembre), nelle case della classe media e anche nei ristoranti di lusso. Sta bene con le patate, fritte o lesse, col pane, il ketchup e la senape, nella pasta come “salsa” (eh lo so, anche gli svedesi hanno difetti), nello stufato. In pratica non stufa mai.
Il korv non guarda al colore della pelle, all’orientamento sessuale, allo status sociale. Elargisce amore a prescindere. Sfama tutti, incondizionatamente: dal più grande al più piccino; dall’operaio stanco dopo una giornata di lavoro intensiva e fredda, all’imprenditore che ne afferra uno di fretta tra una riunione e l’altra; dal genitore indaffarato col passeggino al giovane hipster (che probabilmente se l’è insaccato in casa da solo); dal prete all’ateo; dal re all’anarchico.
C’è dunque un collegamento viscerale tra il korv e la società svedese. C’è una forte componente ereditaria nella predisposizione degli svedesi alla consumazione di korv in ogni momento e luogo. Ci deve essere una specie di imprinting genetico nelle cellule scandinave che portano all’amore per questo piatto. Non riesco a darmi altra spiegazione. Non avete mai notato, infatti, che i cromosomi hanno la forma di due korv attaccati al centro? Solo un caso? Io non credo.
Infine, non va neanche sottovalutata l’influenza ambientale. L’esempio sono i miei figli, nati in Svezia da genitori italiani. Cosa scelgono al ristorante davanti al menù con pasta al pesce, pizza, pinsa, piadine, fritture miste? Non serve neanche dirlo. Ovviamente il beneamato korv!
Roberto Riva