In un freddo pomeriggio di fine gennaio me ne stavo seduto tranquillo durante il mio lavoro a tempo indeterminato – spesso sogno bagnato in Italia, quasi prassi in Svezia – quando un vento di nuova politica mi tolse la mia copertina calda dai piedi, mi gelò il cuore e mi lasciò col morale a terra.
È così che inizia la mia disavventura nel grande parco “divertimenti” della disoccupazione svedese. Per entrarci serve compilare un modulo particolare che ha un nome latino: il curriculum vitae, anche detto CV per gli amici, la cui stesura richiede notevoli abilità persuasive e di sintesi. Senza questo biglietto non ho possibilità di entrare. Frugo nelle tasche della mia vecchia giacca impolverata che mi fece trovare l’ultimo lavoro e dopo qualche modifica a penna ottengo il lasciapassare. Una volta dentro vengo subito attratto dal fascino classico e lugubre dell’Arbetsförmedlingen – l’ufficio di collocamento svedese – che altro non è che la casa degli orrori della disoccupazione svedese. So che non dovrei entrarci ma alla fine non resisto dal provare l’ebbrezza di perdermi nei vari annunci di lavori orribili della sua pagina Platsbanken e decido di sfidare le mie paure di essere rifiutato mandando una domanda di lavoro solo per scaldarmi un po’ l’animo. Le prime stanze mi fanno paura ma poi ci prendo gusto e quando penso di esserne uscito indenne mi arriva in faccia quel maledetto soffio d’aria forte e rumoroso. Sto parlando naturalmente di quella domanda di lavoro che richiede il reinserimento di tutto il mio CV seguendo il fastidiosissimo template di quella specifica agenzia di reclutamento.
Esco esausto dall’Arbetsförmedlingen e solo allora mi accorgo della presenza di Linkedin, la grande ruota panoramica del lavoro nel ventunesimo secolo. A bocca aperta salgo nella mia cabina e subito noto che tutti nelle loro postazioni fanno un gran baccano cercando di attirare l’attenzione degli altri ospiti del Luna Park. Dopo un giro ad alta quota ho le vertigini e appena posso decido di scendere, consapevole che nonostante mettersi così in mostra non faccia per me, purtroppo dovrò ritornarci più tardi e più volte.
Dopo questa carrellata iniziale ho le idee più chiare su quello che devo fare e mi butto a scrivere la lettera di presentazione – personligt brev in svedese — che gira e che ti rigira è sempre la stessa, cambiando solo l’ordine delle parole e delle frasi… un po’ come quando sei sul Tagadà. Con un piccolo aiuto da chatGPT che mi fa saltare la coda all’ingresso faccio un paio di turni finché mi sento preparato a superare il prossimo ostacolo: quel lavoro bellissimo che vorrei tanto, ma proprio tanto, avere perché ha uno stipendio buono, le mansioni sono stimolanti ed è vicino a casa… ma che non otterrò mai. Ha sempre la fila di gente che vorrebbe salirci, mi fa volare in alto con la fantasia ma come spesso accade, se non sono abbastanza qualificato, il finale che mi aspetta richiama il nome della giostra che lo rappresenta in questo parco: il Calcinculo. Non faccio in tempo ad aggiustarmi le ossa che è già ora di prendere l’ottovolante delle emozioni. Un giorno sono in alto e penso che tutto si risolverà per il meglio e che troverò il lavoro dei miei sogni, il giorno dopo mi sveglio a terra e con la convinzione che non mi prenderà mai nessuno e che finirò a fare il barbone. Il vagone corre veloce ma dopo un paio di giri della morte e qualche leggera deragliata torno per fortuna in carreggiata e capisco che fino ad ora ho semplicemente sbagliato giostre. La Svezia è un Luna Park piccolo, dove tutti conoscono tutti e vige il caro e vecchio passaparola. Capisco quindi che devo fare un giro sull’autoscontro. Sbatto a destra, sbatto a sinistra, sbatto contro una vettura che sbatte contro un’altra vettura e alla fine vengo scaraventato al colloquio con la persona giusta. Io vivo sempre l’intervju – per usare la parola svedese – come un teatrino nel quale mi trucco, mi metto un vestito buffo, recito un copione basato sul mio curriculum autocelebrativo e sulle mie capacità di veggente in quanto mi viene sempre chiesto di spiegare come sarò tra cinque anni e poi esco. Solo quando mi guardo allo specchio mi accorgo di essere vestito da clown. Poco importa se alla fine servirà allo scopo di uscire finalmente da questo sfiancante parco “divertimenti”.
Prima di andarmene devo purtroppo ancora provare alcune giostre ma per fortuna so che se dovesse andarmi male, nei prossimi mesi l’indennità di disoccupazione della A-kassa mi terrà in piedi come un’imbragatura, un po’ scomoda ma sicura, del tappetto elastico di questo grande Luna Park svedese.
Roberto Riva
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