Quando parliamo di oro giallo il primo pensiero va al materiale aurifero.
In realtà oggi parleremo dell’oro botanico. Lo zafferano, il cui costo al grammo è di poco inferiore a quello dell’oro. Naturalmente il costo del vero zafferano e non quello spesso adulterato che troviamo in negozio a prezzi bassi.
Per comprenderne il valore basti pensare che per ricavare 1000 grammi di zafferano occorrono 250.000 fiori raccolti e lavorati a mano tra ottobre e novembre.
C’è anche da ricordare che lo zafferano venduto in stigmi e non polverizzato, garantisce ai clienti la mancanza di qualunque forma di sofisticazione.
Lo zafferano si ricava dagli stimmi del crocus sativus. Il nome con cui lo conosciamo oggi viene dall’arabo che lo chiamano ”za faran” cioè giallo.
Si pensa che le prime coltivazioni dello zafferano siano state effettuate sulle coste meridionali dell’Anatolia e di lì diffuse nel medio oriente, in Grecia, a Creta e poi in Iran ed India settentrionale. I popoli dell’antichità se ne servivano per la preparazione di profumi, unguenti e cosmetici, medicinali anche afrodisiaci.
Un altro utilizzo nell’antichità era quello di usare il suo colore dorato per tingere vesti e veli. Lo zafferano ha colorato dalle vesti sacre e religiose degli antichi egizi all’abito del Dalai Lama (ricordiamo che poco dopo la morte di Buddha nel 480 a.C. lo zafferano divenne il colore ufficiale delle vesti dei monaci buddisti) ed è stato usato per la colorazione dei fili di lana dei tappeti persiani e per i tessuti del Kashmir.
A Roma si utilizzavano le essenze di zafferano da spargere nelle sale da pranzo o per profumare le acque delle terme; le spose dell’antica Roma portavano dei veli tinti con lo zafferano probabilmente per le proprietà afrodisiache possedute dalla spezia. In cucina lo zafferano veniva utilizzato per cucinare la selvaggina e per preparare vini aromatici. Dopo l’invasione araba della Spagna nel 961 d.C. vi fu un aumento notevole dell’uso di questa spezia in tutto il bacino del Mediterraneo. La Spagna cercò di ottenere il monopolio della coltivazione. Furono emanate leggi molto severe, con arresto ed anche pena di morte, per chi cercava di esportare i bulbi fuori dal paese.
Padre Domenico Santucci nel 1230 era al sinodo di Toledo e s’innamorò della spezia al punto che, rischiando sia la vita su questa terra che il paradiso in cielo, rubò la pianta nascondendola all’interno di un bastone e la portò in Abruzzo, a Navelli sull’altipiano aquilano dove iniziò la sua coltivazione. I risultati dell’esperimento furono ottimi, la pianta si dimostrò adattabile al clima dell’aquilano e la coltivazione prosperò al punto tale da ottenere un prodotto di alta qualità. Nella seconda metà del XIII secolo l’Aquila trovò nello zafferano il perno su cui far ruotare la propria economia.
Nei territori abruzzesi, e in particolare in quelli circostanti L’Aquila, le coltivazioni raggiunsero il loro apice intorno alla metà del 1500. Lo zafferano era molto richiesto, specialmente nei paesi del Nord Europa e, pertanto si affermò un fiorente commercio della preziosa spezia. A quel tempo lo zafferano non rappresentava solo una merce di scambio ma costituiva un bene sostitutivo del denaro.
Successivamente, in seguito al degrado delle attività commerciali e ad interessi speculativi e, non meno importante, all’introduzione di attività di sofisticazione e adulterazione, la produzione, verso la metà del 1600, si ridusse drasticamente a pochi chilogrammi. Esiste tutto un carteggio tra il borgomastro di Norimberga e il Camerario aquilano in cui il borgomastro lamentava la provenienza di zafferano sofisticato dall’Aquila.
Nel corso del XIX secolo la coltivazione del croco subì una forte contrazione derivante principalmente dagli alti costi dei bulbi e dalle faticose e tutte manuali fasi della coltivazione, raccolta e trattamento della spezia. Agli inizi del XX secolo la coltivazione dello zafferano era per lo più localizzata nelle aree abruzzesi e in quelle sarde.
Fortunatamente, da circa un ventennio, l’Italia sta riscoprendo questa spezia e la sua coltivazione sta coinvolgendo molte regioni italiane. Lo zafferano prodotto in Italia è sicuramente il più apprezzato sul mercato mondiale.
Non poteva mancare un breve accenno sul suo contributo all’arte culinaria. Lo zafferano, con il suo bel colore dorato, il gusto intenso e caratteristico e con quell’aroma inconfondibile si impose e divenne il “re della cucina”. Il suo sapore, il profumo intenso ed aromatico, congiunto alle note proprietà terapeutiche, esaltarono i cibi e le pietanze soddisfacendo i palati più esigenti.
Nel 1450 Martino de Rossi, celebre cuoco del tempo, imbandiva le tavole degli Sforza utilizzando lo zafferano in circa 70 ricette diverse tra primi, secondi, contorni e dolci.
In quel periodo, narra la leggenda, fu per caso utilizzato nella preparazione del famoso “risotto alla milanese”. L’apprendista del maestro vetraio Valerio di Fiandra non avendo altro, condì con lo zafferano, usato normalmente come colorante, il riso da servire al banchetto del matrimonio della figlia del maestro e dargli un aspetto aureo. Fu un grande successo che continua fino ad oggi.
E per concludere un pensiero affascinante. Essendo una pianta che si riproduce solo agamicamente cioè la pianta figlia ha le stesse caratteristiche della pianta madre, lo zafferano usato oggi è lo stesso usato nell’antichità.
Risotto alla milanese per 4 persone
1 litro di brodo di carne
320 g di riso Carnaroli
2 bustine di zafferano in polvere
pistilli di zafferano
50 g di parmigiano grattugiato
burro
30 g di cipolla
vino bianco secco
Tritate la cipolla e appassitela in una casseruola con una noce di burro, senza farla colorire. Aggiungete il riso e tostatelo per 2 minuti. Sfumatelo con mezzo bicchiere di vino bianco.
Bagnate il riso con 2 mestoli di brodo bollente e portatelo a cottura in circa 15-17 minuti, aggiungendo il resto del brodo a mano a mano che si asciuga. A metà cottura, sciogliete lo zafferano in polvere in un mestolo di brodo e aggiungetelo al riso. Mantecate con il formaggio e 80 g di burro. Lasciate riposare per 2 minuti.
Completate con pistilli di zafferano prima di servire.
Secondo la tradizione lombarda, il risotto alla milanese si serve con l’ossobuco, un particolare taglio di vitello che si abbina perfettamente al sapore dello zafferano.
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